Curriculum Vitae

Pittore Eugenio Chiambretto

Motivazioni di un pittore

le emozioni si possono esternare in vari modi
uno di questi è la pittura.
Un quadro può celare tante suggestioni, narrazioni, motivazioni
ma soprattutto catturare l'interesse di chi lo osserva, lo può colpire, suggestionare.
Questa secondo me è la cosa più bella
per il suo autore.

 

Ricordo con chiarezza che sui banchi di scuola alle elementari mi piaceva disegnare e dipingere. Tornato da scuola esternavo a mia madre la mia voglia ma anche la mia incapacità di riuscire in quello che volevo. Il suo buon cuore mi assecondava dicendomi che dovevo fare dell'allenamento e così cominciai.

Alla sera (a quei tempi non avevamo il televisore) io e mia madre (qui a fianco ritratta dal pittore Mondino) trascorrevamo molte serate a disegnare con assiduità e poco alla volta mi senti più sicuro, con pazienza riuscii a esternare quello che sentivo e cominciai le prime mostre all'interno della scuola stessa.

Nel periodo della scuola media alla Camillo Olivetti (classi sperimentali) vi furono dei buoni professori di disegno che mi accolsero con entusiasmo permettendomi di dipingere quasi a tempo pieno (a scapito delle altre materie) appresi quasi tutte le tecniche di pittura, di incisione, di stampa sempre a livello scolastico ma sufficienti a entusiasmarmi per la sperimentazione. Intere pareti della scuola erano tappezzate da murales che in collaborazione con la mia classe (io eseguivo le parti più complesse e i miei compagni campivano gli spazi e preparavano i colori con le polveri) realizzavamo con grande armonia.

Le scuole dell'obbligo terminavano e io dovevo decidere cosa fare: dipingere era il mio sogno, l'ansia di mia madre era un figlio irruento e un pò ribelle. Quale scuola poteva formarmi? Si informò da un caro amico di famiglia il pittore Prof. Filippo Mondino che per conoscermi meglio e consigliarmi sul da farsi mi chiese di andare presso il suo studio, non vi dico la gioia nel poter vedere quella enormità di tubetti di colori e di pennelli e poi tele e cavalletti a dismisura.

L'accordo era che io dovevo posare per Lui (grande ritrattista) perché oramai nessuno della sua famiglia voleva farlo, e Lui mi avrebbe consigliato sul da farsi, e così fu.

Incominciai a seguire i suoli consigli e come una spugna assorbivo tutto quello che Lui faceva; dalle banalità, a come appoggiare i pennelli a lato della tavolozza, a come preparare la tavolozza di colori, come posizionare il cavalletto e collocare la sedia al gioco di luci e ombre che cadevano sugli oggetti, a come dare i primi tocchi di colore con il pennello senza matita (tecnica ancora oggi a me sconosciuta solo per i grandi maestri umili e capaci come lui). Ricordo quando mi fece il primo ritratto: dialogavamo sulla pittura e sulle tecniche e in un baleno aveva già improntato il mio volto sulla tela senza che me ne fossi accorto, rimasi esterrefatto, mi disse che la pittura è dentro di noi e non è sicuramente una scuola che può creare un pittore, la pittura la si coltiva dentro di se.

A quei tempi le scuole superiori erano fortemente politicizzate, le assemblee e gli scioperi erano all'ordine del giorno e uno come me era terreno fertile per creare problemi.

Visitai il liceo artistico, non fu però questa grande gioia. Rimasi pertanto abbastanza deluso, mia madre non si impose mai nelle mie scelte e mi disse solo di vedere anche altre scuole e visitai l'istituto La Salle. Il destino volle che incontrai il pittore Fratel Daniele Bianco, la scuola mi piacque subito, ero entusiasta le lezioni di disegno erano una gioia. Poter accedere all'aula di disegno ove lui dipingeva dietro a un paravento con la vista di Superga era emozionante, potevo imparare nuove tecniche; l'arte di Fratel Daniele Bianco era il paesaggio e le nature morte i colori erano vivi ricordo quando dipinse il ponte della gran madre mi spiegava le sue tecniche come colorare in sovrapposizione per avere l'effetto tridimensionale, non usava la tavolozza per amalgamare i colori perché aveva male ad una mano e la tavolozza le indolenziva il dito, aveva adottato l'uso dei piatti presi in cucina del convitto, quelli rovinati, sbeccati, erano la sua tavolozza.

Era un bravo insegnante sapeva disegnare alla lavagna perfettamente con maestria nel premere sempre con la stessa intensità il gesso, linee perfette, figure geometriche, teoria delle ombre assonometrie, prospettive, disegno tecnico erano le materie del corso ma più volte mi impartiva lezioni di pittura vista la mia sete di sapere, a casa imitavo i suoi quadri e affinavo le sue tecniche le macchie che da vicino erano illeggibili nella lontananza rendevano effetti particolari e suggestivi.

Il biennio finì e finì anche il corso di disegno ma negli anni successivi continuai sempre a incontrarlo, ad apprendere e a sperimentare.

Anche le scuole superiori terminarono e dovevo scegliere se continuare o andare a lavorare, mia madre, pensionata, mi disse che se volevo continuare avevo una borsa di studo lasciata dalla società dove lavorava mio padre. Fu un modo per darmi più serenità ma avevo già deciso cosa fare ricordavo le parole del pittore Mondino quando mi raccontava che dopo aver fatto l'accademia e dipinto per molti anni il meritato successo tardava a venire e dopo l'ultima biennale di Venezia dove la critica non fu corretta nei suoi confronti decise di smettere e si iscrisse ad architettura, si architettura la facoltà dove si disegna sicuramente fu questo il mio pensiero.

Mi iscrissi anche se i miei amici mi spingevano ad ingegneria; la visita una volta sola era tetra e spenta tutta uguale un transatlantico adagiato su in tessuto urbano freddo e grigio.

Il Valentino brillava di luce propria, l'autunno era alle porte i colori erano magnifici; l'esame che preparai per un anno era disegno dal vero con li Prof. Giovanni Gardano, ottimo professore nuova tecnica la matita il carboncino mi mancava questa esperienza; mi appassionava in gruppo disegnavamo a mano libera parti del castello, viali, il borgo Medioevale nuove tecniche nuovi studi il professore vide il mio interesse e l'assiduità ai suoi corsi, mi prese in simpatia andavo numerose volte presso il suo dipartimento mi disse di seguire i bozzetti di Van Gogh, me ne diede delle fotocopie per prender spunto e per affinare la tecnica della prospettiva. Come esame portai un paesino delle valli del canadese Mombianco ricco di scorci e giochi di luce case in pietra e usci in legno piante, muffe rocce, lose, ciuffi d'erba, pini, larici, castagni. Non più il colore ma solo il bianco e nero del carboncino o della matita, il tridimensionale che asce da giochi di luce e ombre da tratti di matita lunghi e corti per dare l'effetto della prospettiva, fogli lisci o grezzi per dare un immagine definita e precisa o strappata e irregolare.

Con lo stesso professore dopo tre anni diedi un nuovo esame di reiterazione (da 24 esami ci portarono a 28 esami) sempre sul tema disegno dal vero sul disegno del castello del Valentino e la vegetazione che lo circonda.

Negli anni del' Università esposi con assiduità alla Promotrice delle Belle Arti. La professione mi ha assorbito quasi totalmente ma la voglia di dipingere non e meno ecco perché all'improvviso come un vulcano che per molto tempo pare addormentato ed improvvisamente quando meno te lo aspetti la pittura erutta senza limitazioni è più forte di te non si può contenere può essere brutta o bella gradevole o sgradevole soggettivamente apprezzabile.